QUALE LINGUA STUDIARE PER LAVORARE COME TRADUTTORE
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In queste settimane molti giovani che si apprestano agli studi per diventare traduttori si pongono un quesito apparentemente semplice, ma che oggi può avere una soluzione non scontata: quali lingue studiare per la propria futura carriera di traduttori?
Va ricordato che le lingue da apprendere – che saranno poi quelle con le quali si lavorerà per il resto della propria vita – non devono essere scelte solo considerando le prospettive di lavoro, ma assecondando le proprie inclinazioni: senza un legame profondo con la lingua straniera, l’approfondimento e l’aggiornamento continuo richiesti a chi lavora come traduttore o interprete si trasformano in un peso che difficilmente si sopporta a lungo.
Le argomentazioni di carattere economico non si possono però trascurare del tutto ed è forse utile, a questo proposito, provare a superare qualche luogo comune.
Non vi è dubbio che oggi l’inglese sia la lingua più utilizzata negli scambi internazionali, ruolo svolto sino a pochi decenni or sono dal francese. Ancora nei primi anni ’70, in Italia, era piuttosto comune che la prima lingua straniera insegnata nelle scuole fosse il francese. L’inglese era scelto ancora da una netta minoranza. Solo un decennio dopo il quadro era mutato radicalmente: le classi di francese chiudevano drasticamente i battenti in favore di quelle d’inglese. La rapidità di questo cambiamento deve farci ricordare che una “lingua internazionale” riconosciuta come tale non esiste: s’impongono all’uso di volta in volta, spesso con cambiamenti relativamente repentini, gli idiomi dei Paesi economicamente e geopoliticamente più influenti. Anche l’argomento secondo il quale l’inglese si sarebbe diffuso grazie alla sua semplicità grammaticale rileva poco, in questo contesto. In Canton Ticino, ad esempio, la lingua straniera più richiesta resta il tedesco, poiché è la lingua politicamente ed economicamente più influente della Svizzera: il suo grado di difficoltà non è determinante. Allo stesso modo, il russo resta in gran parte la lingua più utilizzata (a fianco delle riscoperte lingue nazionali) nei rapporti reciproci fra i Paesi dell’ex Unione Sovietica, per i legami storici ed economici che li hanno legati e che tuttora, loro malgrado, li uniscono.
Caduta la divisione dell’Europa in due blocchi, molto è mutato nel quadro linguistico europeo. Anche oltre le frontiere d’Europa, nuovi Paesi e interi continenti stanno rapidamente erodendo il primato economico e politico dell’Occidente classicamente inteso come insieme di Europa occidentale e Stati Uniti. Chi deve scegliere oggi quali lingue scegliere per la propria carriera di traduttore non può non considerare queste evoluzioni.
L’inglese mantiene una certa preminenza, ma il numero di persone che lo parlano sufficientemente bene e l’offerta di traduttori in questa lingua sono fra le cause per le quali è ormai piuttosto difficile costruire un’attività di traduttore dall’inglese all’italiano ottenendone un buon trattamento economico, a meno di non possedere un’elevatissima specializzazione in settori tecnici molto particolari. Un’evoluzione simile, pur se in misura inferiore, interessa anche il francese e parzialmente il tedesco.
A più di vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino è invece ancora molto difficile trovare, ad esempio, traduttori di madrelingua italiana dalle lingue dell’Est Europa: russo, polacco, bulgaro, ucraino, romeno e altre lingue di quell’area restano ancora poco studiate. Il mercato della traduzione da queste lingue verso l’italiano è oggi occupato da traduttori di madrelingua straniera. Le imprese italiane sono state fra le prime a insediarsi nell’Est Europa dopo la caduta dei regimi comunisti: vi è da attendersi perciò che il fabbisogno di traduzioni da e verso queste lingue sia destinato a consolidarsi e crescere ancora.
Nonostante la crisi del 2009, che ha mutato alcuni equilibri, le maggiori attese di crescita economica risiedono ancora nei Paesi del cosiddetto BRIC (Brasile, Russia, India e Cina): si aggiunge un Paese che cresce rapidamente come partner commerciale delle imprese europee, la Turchia, che conta oltre 70 milioni di abitanti. Ebbene, solo uno di questi, l’India, riconosce l’inglese come propria lingua ufficiale (peraltro affiancato a lingue interne sempre più presenti).
Quanto più un Paese si sviluppa economicamente e geopoliticamente, tanto meno è disposto a usare le lingue degli altri, nei suo rapporti commerciali e politici internazionali. Già oggi, per operare commercialmente con la Cina è impossibile non servirsi del cinese. Il crescente affermarsi della Cina come potenza economica mondiale non renderà i Cinesi più propensi a parlare altre lingue, nelle relazioni con i loro partner commerciali e politici esteri, ma piuttosto li farà insistere sempre più sul riconoscimento internazionale della loro lingua.
Anche se per motivi geopolitici la loro evoluzione richiederà forse più tempo, alcune le lingue dei Paesi caucasici e asiatici resisi indipendenti dopo la caduta dell’Unione Sovietica sono destinate a svolgere un ruolo sempre più importante anche sulla scena internazionale.
Pur se con una certa inerzia, dovuta a rigidità culturali e istituzionali, il quadro politico ed economico mondiale si riflette specularmente sul panorama linguistico: scegliere la lingua di lavoro non è l’unico elemento da considerare, nel decidere l’orientamento dei propri studi per diventare traduttori, ma nel farlo non si può non tenere conto delle profonde trasformazioni avvenute negli ultimi decenni negli equilibri fra singoli Paesi, regioni continentali e grandi potenze, trasformazioni destinate a caratterizzare gli equilibri economici, politici e linguistici mondiali in modo duraturo. ( Fonte: www.k-kommunika.ch)
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