LINGUE DI FUOCO
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Quando avvenne quel suono, la folla si raccolse e fu confusa, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. E tutti stupivano e si meravigliavano, dicendo: "Tutti questi che parlano non sono Galilei? Come mai li udiamo parlare ciascuno nella nostra propria lingua natia? Noi Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadocia, del Ponto e dell'Asia, della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e delle parti della Libia cirenaica e pellegrini romani, tanto Giudei che proseliti, Cretesi e Arabi, li udiamo parlare delle grandi cose di Dio nelle nostre lingue"» (Atti degli apostoli, 2:6-11).
Certo lo Spirito Santo quando bisogna non va per il sottile. Anche allora - come oggi avviene per esempio al Parlamento europeo, con disastro finanziario di spese annesso - l'esigenza di interpreti si faceva sentire. La Poliglossia degli apostoli, subito dopo le Pentecoste, fu un miracolo che sconvolse le masse. Perché non c'è nulla di più misterioso, e di più allettante, che sentire uno straniero parlare la tua lingua. Con buona pace di Zamenhof: lui, con il suo Esperanto, avrebbe fatto scomparire per sempre quella forma di rispetto assoluta che è parlare a qualcuno nella sua lingua.
Siamo cresciuti con l'idea che imparare le lingue - almeno, dai, l'inglese! - ci avrebbe aperto varie porte. Qualcuno esagerava, e insieme all'inglese decideva di imparare anche il francese e il tedesco. O lo spagnolo: medio mundo habla espanol - quel fenomeno recente per cui il maschio italiano muore dalla voglio di parlare la lingua di Cervantes, anche e soprattutto quando non c'entra niente. Una fatica improba. O forse no.
Perché la tesi di fondo di questo articolo è semplice. Il francese, l'inglese, il tedesco, il portoghese, lo svedese, l'olandese e perfino il russo non sono lingue straniere. Non stiamo delirando un inverosimile campanilismo dell'Unione Europea. È un fatto fisico, morfologico: tutte queste lingue sono di ceppo indoeuropeo. Alla lista possiamo aggiungere anche l'Hindi, l'Hurdu, il Farsi, il Bengali, le lingue che si parlano in India, in Pakistan, in Iran, in Bangladesh.
Più una caterva di dialetti. "Il Farsi è una cazzata", mi raccontava un vecchio compagno di scuola fresco di laurea in ebraico: "in due mesi hai fatto la grammatica".
Con le lingue indoeuropee è facile: la riprova è l'orgasmus, pardon, Erasmus. Quella cosa per cui gli studenti universitari vengono sbattuti qualche mese in un altro paese e tornano con discreta padronanza di un idioma che mai avevano sentito prima. Dall'indoeuropeo derivano il latino, il greco, il sanscrito, pure questa misteriosa lingua morta che è il Venetico.
Alla base un'unica struttura, un insieme più o meno fisso di regole, un unico pensiero. La scuola italiana chissà quando lo capirà. Segnali incoraggianti vengono dal prestigioso Liceo cittadino, che ha introdotto il cinese tra le sue materie di studio. Bene così. Ma in Italia ci sono solo due facoltà in cui è possibile studiare le lingue orientali (Venezia e Napoli). Il mio consiglio è: imparate – perché anche questo è un hobby - una lingua extraeuropea. Qualcosa per cui sia superata la "barriera ariana". Il Cinese, il Giapponese, l'Arabo. Lingue per cui non solo bisogna parlare in modo diverso, ma anche pensare in modo diverso.
È l'odiosa ipotesi di Sapir-Whorf, che tanto scandalizza i linguisti: a strutture di linguaggio diverse corrispondono pensieri diversi. È una bella violenza da fare su stessi, pensare alla mancanza dei tempi verbali del cinese, ai quattro modi diversi di dire " io" in giapponese, o ai fonemi impervi delle lingue semitiche.
Per non parlare della scrittura: gli ideogrammi soprattutto. Non c'è verso, bisogna studiarli: non è un sistema che fa corrispondere un segno ad un suono, ma un segno ad un concetto. Un casino.
Come fare? Il mio consiglio è principalmente uno: scaricate sul vostro Ipod un corso Pimsleur. Pimsleur era un professore di francese che inventò questo metodo basato sulla ripetizione, la cui efficacia è provata dal fatto che ora CIA e FBI lo utilizzano per addestrare i loro agenti.
In Italia hanno tradotto solo quello per il tedesco e l'inglese. Peccato, perché Pimsleur offre 90 lezioni di mandarino, 90 di giapponese, 30 di cantonese. E poi arabo orientale, swahili, perfino la lingua gaelica. Rispetto ai vari Berlitz, Rosetta Stone, Assimil, Pentaton e compagnia, il Pimsleur è decisamente superiore.
Consiglio numero due: frequentate il catalogo della coraggiosa editrice Vallardi, che pubblica perfino grammatiche ungheresi e tibetane.
Consiglio numero tre: scaricate tutti i film, telefilm, cartoni sottotitolati che riuscite a trovare. La rete ne è zeppa. Per molti, mai importati in Italia, non sentitevi nemmeno in colpa: non state violando nessun diritto, e poi in alcuni casi, come ad esempio con l'animazione giapponese, qualcuno di generoso - i cosiddetti fansubber - ha già piratescamente sottotitolato il filmato per renderlo fruibile a voi e alla vostra tenacia di studenti di lingua in cerca di sempre maggiore "immersività".
Perché la rete cambia anche questo: un clic e sentite parlare qualsiasi lingua del mondo. Skype, emule e i corsi Pimsleur sono un colpaccio per Babele. Ganbatte Kudasai! (=in giapponese, "forza, buon lavoro!"). ( Fonte: www.informacitta.vi.it)
Autore: RDB