I russi sempre più poliglotti
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Al giorno d’oggi è considerato bravo non più chi conosce una lingua straniera, ma chi ne parla ben più di una. Non è un caso infatti che gli specialisti parlino di un vero e proprio “boom linguistico”, che interessa non solo l’Europa ma anche la Russia. Il segreto di una buona istruzione linguistica, è racchiuso in questa frase, formulata in Unione Europea: “La propria lingua madre, più due lingue straniere”. Una massima che verrà ricordata anche il 26 settembre, in occasione della Giornata Europea delle Lingue.
La maggior parte di noi è "portatore" non solo della propria lingua madre, ma anche di lingue “altrui”, che difficilmente però riusciamo a ricordare per tutta la vita. Anche se, molto presto, saremo destinati a mescolarci. Non è quindi chiaro chi saranno i poliglotti del futuro, visto che già oggi è considerato normale parlare due o tre lingue straniere.
Il titolo di poliglotta senza dubbio resterà a Dmitri Petrov, traduttore simultaneo, insegnante di traduzione simultanea presso l’Università Statale Linguistica di Mosca.
È grazie a lui è ai suoi insegnamenti, infatti, che due lingue come l'inglese e l'italiano sono diventate più comprensibili a milioni di persone. Il suo programma “Poliglotta”, andato in onda sul canale televisivo russo “Russia K”, ha riscosso un enorme successo. A lui abbiamo chiesto cosa ne pensa del fenomeno del poliglottismo.
L’Unesco ha definito il XXI secolo il “Secolo poliglotta”, invitando la gente a studiare più lingue. Lei è d’accordo sul fatto che stiamo vivendo un periodo di poliglottismo?
Ragionando su larga scala, mi risulta difficile dare un giudizio. Sono però convinto che potremmo fare della Russia un Paese di poliglotti. La conoscenza di più lingue è sicuramente richiesta. E tale esigenza continuerà ad aumentare, sia in virtù di un ampliamento dei rapporti internazionali, sia in virtù del fatto che la gente ha sempre più bisogno di informazioni in tempo reale. Spesso non c’è nemmeno la possibilità di aspettare che queste informazioni vengano tradotte nella propria lingua madre.
La maggior parte della popolazione russa, però, non conosce nemmeno una lingua straniera.
Tutto dipende dalla motivazione. È la motivazione che rende possibili i risultati. Perfino quelle persone che per tutta la vita hanno creduto di non essere all’altezza per studiare queste cose, dimostrano che è possibile farcela. Basta trovare il tempo, le energie e ovviamente i soldi.
In questo mondo globalizzato, conoscere solo l’inglese forse non è più sufficiente?
L’inglese è richiesto ovunque. Ma lo si incontra a diversi livelli. Ad esempio, nell’Europa del Nord, come in Germania, nei Paesi Bassi e in Scandinavia, l’inglese è molto diffuso. Non solo lo si insegna a scuola, ma spesso diviene strumento stesso di insegnamento. Nel Sud Europa, invece, non è poi così parlato: se escludiamo i settori del commercio e del turismo, in Italia, Spagna e in forma minore anche in Francia, l’inglese lo capiscono meno. Aumentare la potenza economica di alcuni Paesi, significa aumentare sicuramente la conoscenza delle lingue.
Ciò significa che il russo è diventato una lingua più popolare?
Sicuramente. Sempre più uomini d’affari stranieri, soprattutto occidentali, che lavorano in Russia e in Paesi di lingua slava, preferiscono organizzarsi per essere in grado di impadronirsi del russo, sia a un livello base, sia a un livello più avanzato. Soprattutto chi ha a che fare con l’economia punta a non dipendere al cento per cento dagli interpreti.
Una volta, conoscere una lingua significava parlarla se non alla perfezione, almeno molto bene. Lo studio di molti idiomi oggi comporta una conoscenza più superficiale delle lingue?
Ovviamente per una conoscenza approfondita della lingua è necessario un approccio serio, che comporta molto tempo. Per questo motivo noi possiamo dire di sapere bene solamente una o due lingue, e di parlarne invece discretamente altre due o tre. Per “discretamente” intendo che riusciamo a comunicare e a sentirci a nostro agio con l’interlocutore straniero, ad esempio durante un viaggio.
All’interno del suo libro “La magia della parola”, che andrà in stampa a breve, lei racconta dei suoi studenti che studiano, oltre all’inglese, altri idiomi meno diffusi, come svedese, danese, olandese. Lei scrive che i suoi ragazzi vorrebbero riuscire a lavorare con queste lingue, ma che i madrelingua stranieri non sempre li assumono, poiché per loro è più comodo condurre gli affari in inglese e parlare tra di loro nella propria lingua madre.
Questo riguarda una percentuale molto bassa di persone. Nel libro si parlava, ad esempio, di lavoratori russi impiegati in una compagnia straniera non anglofona. E non riguarda ovviamente tutti. Agli italiani, agli spagnoli e ai francesi fa piacere poter comunicare con i colleghi nella propria lingua.
Dicono che quando una persona inizia a parlare una lingua straniera nel sonno, significa che ormai l’ha assimilata bene.
Io credo che una buona prova del nove, per capire il proprio livello di conoscenza linguista, sia anche saper scherzare e capire le battute.
Nel suo libro fa riferimento a un nuovo processo globale: si iniziano a delineare differenze sempre più evidenti non tra lingue nazionali, ma tra lingue professionali: “Gli uomini d’affari russi oggi capiscono di gran lunga meglio e più velocemente i colleghi americani, che i programmatori russi”. È possibile che in futuro si considerino poliglotte non più quelle persone che parlano le lingue straniere, ma che conoscono termini professionali?
Non lo escludo. Questa differenza sta aumentando.
Sono state fatte delle stime per capire quanti poliglotti ci sono in Russia?
Un poliglotta è una persona così particolare, che il suo lavoro può anche non essere collegato con le lingue. Può vivere nel capoluogo, può studiare le lingue, ma questo lo possono sapere solo i suoi conoscenti e la sua famiglia. La quale probabilmente brontolerà, sostenendo che sta perdendo tempo su delle sciocchezze.
L'articolo originale è stato pubblicato su Kommersant
Autore: Julija Larina, Kommersant