Apprendimento linguistico. Eliminare materiale inutile
-
Punto connesso col precedente. Una delle pecche dell’insegnamento tradizionale è che ha una definizione formale e astratta di materiale necessario. Per questo include un sacco di cose inutili, che sono mere curiosità all’atto pratico. Ad esempio, nel secondo capitolo del primo manuale di finlandese che usai tempo fa erano insegnati tutti i nomi dei paesi europei, oltre a parole come bandiera, inno nazionale, stemma (o emblema?). Ora, qual è l’utilità di sapere che in finlandese Lituania si dice Liettua quando non so ancora come si dice “come va?”. Questo problema, che sembrerebbe evidente, è comune alla maggior parte dei programmi tradizionali, che non sono basati sulle cosiddette statistiche di frequenza: gran parte del linguaggio comunemente usato è infatti composta da un insieme ristretto di parole o espressioni. Conoscere questo insieme ristretto può immediatamente fornirci un elevato livello di compresione, che ci consentirebbe poi di approfondire e progredire con grande efficacia. Spesso invece si raggruppano le cose per significati, ad esempio presentando tutti i colori per volta, indipendentemente dal fatto che magari “turchese” non è un termine poi cosí fondamentale da imparare per un principiante (c’è pure un altro problema connesso con questo tipo di approccio, che vedremo nell’articolo successivo). Quindi, bisogna stare attenti a selezionare il materiale piú utile per non studiare a vuoto. Questa può anche essere una scelta personale. Ad esempio, ho di recente iniziato a studicchiare il giapponese. Non ho esigenze professionali, e lo faccio perché mi affascina il suono della lingua. Come si saprà, uno dei problemi dello studio del giapponese è il complicatissimo sistema di scrittura. Ma a me onestamente non interessa: al momento non ho curiosità particolari verso la letteratura giapponese, ad esempio, e la lingua mi interessa per il suono. Dunque mi concentro su quello. Diverso ad esempio il caso del russo, dove il mio parlato è sufficiente per i miei (modesti) scopi, ma voglio approfondire perché sono interessato alla letteratura in questa lingua. Pertanto, nel caso del giapponese mi concentro sul parlato, nel caso del russo sullo scritto, perché questi sono i miei interessi, e quindi il modo migliore per raggiungere i miei scopi è concentrarmi su di essi, invece che seguire un programma generico e perdere un sacco di tempo e risorse per studiare aspetti inutili (per me). Esistono poi aspetti sostanzialmente inutili in generale, come la grammatica. Questo tende a sorprendere i piú. “Come posso parlare correttamente senza conoscere la grammatica???” Basta rispondere: “ti piacerebbe parlare allo stesso livello di un bambino madrelingua di 7-8 anni, che non ha neanche alcuna idea di cosa sia la grammatica?” Oppure: siamo sicuri di ricordare cosí tanto delle numerose lezioni di grammatica fatte a scuola? Non sostengo che sia una materia inutile in generale, sia chiaro. Anzi, personalmente mi interessa, visto che sono appassionato di lingue e linguistica. Ma non ci aiuta a imparare la lingua. Non si parla correttamente perché si conosce la regola grammaticale. Si parla correttamente se una certa espressione ci è spontanea, e questo avviene se la usiamo abitualmente… anche senza sapere perché è corretta o perché non se ne usa una diversa. Tra l’altro, ci sono ragioni precise, che dipendono dal modo in cui il nostro cervello apprende, per cui uno studio formale non è utile, e anzi può essere nocivo. Come “prova del nove”, prendiamo gli esperimenti fatti con le cosiddette grammatiche artificiali. A un gruppo di soggetti sono semplicemente indicate espressioni di cui è specificato se sono corrette o scorrette, senza indicare alcuna regola. A un altro gruppo sono spiegate le regole sottostanti della grammatica. Se poi sono mostrate nuove espressioni e si chiede di distinguere quelle corrette dalle sbagliate, non solo il primo gruppo aveva imparato a farlo nonostante la mancanza di alcuna istruzione formale… ma addirittura tendeva a ottenere risultati migliori dell’altro gruppo a cui era spiegata la regola.