" Quando a Siena i banchieri infedeli erano puniti " di Daniele Ceccarini
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A Londra, Ken Livingstone, candidato sindaco ha lanciato un’idea singolare: "Impiccare un banchiere a settimana". Il ragionamento del dr. Ken è molto semplice: “ Con una minaccia di morte, Corzine, Blankfein, Madoff e altri ci penserebbero due volte prima di rubare e ingannare”.
A Siena nei secoli passati i banchieri disonesti, anche se importanti, se la vedevano davvero male. Recentemente, uno studioso di grande esperienza Giuliano Catoni, ha pubblicato per Mps un bel volume sulle procedure che erano in uso nel 1623. La ricerca trova riscontro in un fascicolo processuale del 1623 relativo al procedimento giudiziario contro Armenio Melari, camerlengo del Monte Pio, e dei suoi complici, accusati di avere sottratto al Monte: quarantamila scudi. Nel volume intitolato «I secoli del Monte» edito dalla banca Mps, l’Autore racconta che “il Melari era fuggito all'improvviso nella notte del 6 agosto 1623, proprio «quando il percorso per la costituzione del nuovo Monte sembrava ormai essere giunto a conclusione” A quei tempi, le cose camminavano veloci e anche senza intercettazioni telefoniche il Melari e i suoi complici furono arrestati. Il Capitano di Giustizia e i suoi collaboratori non persero tempo. E, di lì a poco, misero sotto processo il Melari, contumace, e i suoi complici, tutti senesi altolocati che da anni ricoprivano incarichi importanti nella banca ed erano «sospetti di negligenza». In 14 mesi il processo si concluse con ampio uso della tortura. Racconta l’Autore che “Il primo a essere interrogato fu il cavalier Girolamo Lunadori, dell'Ordine di Santo Stefano. Per torturarlo, essendo un cavaliere, occorreva un permesso del granduca di Firenze, che lo concesse senza troppi dubbi. Il Lunadori fu portato «alla Marcolina, la sala della tortura nell'ultimo piano del Palazzo civico», e «attaccato al canapo e fatto elevare, e dopo elevato, stato poco poco, disse: calatemi che voglio dire la verità. Allora fatto calare, posto a sedere et interrogato, rivelò i nomi di molti debitori del Melari. E di poi disse: scioglietemi che vi voglio dire un particolare che ne haverete gusto»” I giudici si resero conto che il Lunadori sapeva molte altre cose e lo riportarono alla Marcolina. «Dopo altri tratti di corda, il cavaliere gridò di farlo scendere perché avrebbe detto la verità». Tirato giù e fatto sedere, confessò di avere dato lui il cavallo al fuggitivo. Ma ancora una volta il Lunadori nascondeva qualcosa e i giudici ordinarono altri tratti di corda. E pertanto il cavalier Lunadori fu nuovamente «sospeso per lo spatio di un'hora intera d'oriolo a polvere». L’indagine dei giudici prosegui con Ubaldino Malavolti, a cui fu «proposto il tormento della sveglia o capra» (la svegliao veglia che consisteva nel tenere l’imputato sveglio per quaranta ore di seguito; oppure la capra che voleva che all’inquisito fossero bagnate le piante dei piedi con acqua salata e date poi a leccare a una capra fino a vederne consunta la carne e scoperto l’osso) Il Malavolti terrorizzato scelse la tortura della fune. Quando fu rimandato a casa pagò di una cauzione di 4 mila scudi. Al cancelliere Selvi fu applicato il «castigo del dado», che consisteva nello stringere un piede dentro una morsa.
La sentenza del processo fu pronunciato il 29 ottobre 1624. Per il Melari venne sancito «che fosse appiccato per la gola, con taglia di 200 scudi per chi lo avesse ammazzato, oppure di 400 scudi per chi lo consegnasse vivo alla giustizia». Quanto ai suoi due figli, considerati complici del furto alla banca, il primo fu condannato «alla galea a vita», e il secondo «alla galea per cinque anni, et ambidue in solido a risarcire il Monte di ogni danno patito».
Anno 1624, altri tempi.
Fonte: http://italian.ruvr.ru/radio_broadcast/6931403/103497603.html