Proust e le memorie involontarie: un problema di definizione
-
Una ricerca recente mette in discussione la verosimiglianza scientifica del celebre episodio della Recherche. Secondo l'articolo, la scena che ha ispirato la terminologia “effetto Proust” in realtà non sarebbe un buon esempio di memoria involontaria
di Roberta Fulci
Se dimenticare è un processo involontario, anche ricordare può esserlo: spesso un ricordo affiora senza che si faccia niente di consapevole per suscitarlo. Come Proust con le sue madeleines? Ecco, non proprio.
Da decenni gli studiosi di neuroscienze leggono il capolavoro di Proust, Alla ricerca del tempo perduto, con occhio specialistico, e traggono conclusioni sull'esperienza che doveva essere alle spalle di un autore tanto sottile nel trattare la psiche umana. Per molti versi, Proust avrebbe tracciato – in un contesto, certo, esclusivamente letterario – una strada che la scienza avrebbe poi percorso. Questa almeno è la tesi di Jonah Lehrer, autore di Proust era un neuroscienziato, secondo cui vari studi moderni sulla memoria non fanno altro che confermare teorie che già Proust aveva in qualche modo messo in pratica nel suo romanzo. E con Lehrer, vari altri studiosi sono d'accordo nel ritenere che lo scrittore diede un vero e proprio contributo alle neuroscienze.
Più precisamente, la madeleine di Proust sarebbe legata a un concetto specifico: una circostanza casuale che fa riemergere improvvisamente un ricordo rimasto a lungo sepolto. Un legame talmente evidente da giustificare definizioni come “momento proustiano” o “memoria proustiana”. In psicologia si parla anche di “memoria involontaria”, e fu lo stesso Proust, in un'intervista del 1913, a coniare quest'espressione: “La mia opera è dominata dalla distinzione fra la memoria involontaria e la memoria volontaria.”
Ma questa distinzione, così esplicita e netta per l'autore, inizia a vacillare. Emily Troscianko, ricercatrice al St John's College di Oxford, in un articolo apparso recentemente su Memory Studies, argomenta che, sulla base della ricerca attuale, la scena delle madeleines non è un buon esempio di memoria involontaria. L'autrice, studiosa di lingue, indaga il “realismo cognitivo” in letteratura: con quest'espressione si intende la coerenza di un testo narrativo con le esperienze cognitive reali.
Per alcuni versi, concede Troscianko, la scena proustiana è verosimile. Le memorie involontarie infatti sono tipiche di eventi vissuti ripetutamente nel passato, possono essere facilmente scatenate da un odore, e avvengono in momenti di stanchezza o di bassa concentrazione – tutte condizioni che si verificano nella ricostruzione di Proust.
Il primo punto su cui Troscianko confuta lo scrittore francese è l'idea che gli odori abbiano un potere evocativo maggiore di tutti gli altri stimoli: "Per me, la memoria volontaria, che è soprattutto una memoria dell'intelligenza e degli occhi, ci offre del passato soltanto facce prive di verità", spiegava Proust nel 1913, "ma basta che un odore, un sapore ritrovati in circostanze del tutto diverse, ridestino in noi, senza che lo vogliamo, il passato, e subito sentiamo quanto tale passato fosse diverso da quello che credevamo di ricordarci e che la nostra memoria volontaria dipingeva, come i cattivi pittori, con colori senza verità”. E in effetti, dato che il gusto e l'olfatto non passano attraverso il talamo ma sono elaborati direttamente nell'amigdala, è vero che gli odori provocano suggestioni particolarmente emotive. Ma esperimenti recenti hanno accertato che stimoli astratti come parole o pensieri sono più efficaci. Le memorie suscitate dall'olfatto, inoltre, sono sì molto intense, ma non dettagliate come quelle descritte da Proust.
La seconda discrepanza, la più importante, riguarda il tempo necessario perché le reminiscenze vengano a galla. Una memoria involontaria è un riproporsi immediato del ricordo, senza bisogno di alcuno sforzo consapevole. Mentre Proust, con la sua madeleine, si impegna a decifrare i ricordi – secondo Troscianko – per molti secondi, se non alcuni minuti. Insomma, la memoria involontaria più famosa della letteratura non sarebbe affatto involontaria.
Naturalmente un secolo fa Proust, per quanto colto e informato, non poteva essere al corrente delle ricerche di oggi, e in fondo poco importa se il suo romanzo sia scientificamente inoppugnabile oppure no. Quel che è interessante è che il lettore trova perfettamente credibile il meccanismo di rievocazione descritto da Proust: il processo mentale che narra risulta verosimile a noi come a lui. Gli "errori" di Proust sarebbero quindi da imputare a quella che Troscianko chiama folk psychology, cioè l'insieme delle aspettative che il profano si crea in materia di psicologia sulla base della propria esperienza quotidiana.
Fonte: www.lescienze.it