Oro, incenso e mirra - racconto di Silvia Marutti

http://www.gazzettadiparma.it/mediagallery/foto/dett_articolo/1356774493826_0.jpgPer ricordare la poetessa e narratrice Silvia Marutti,  scomparsa prematuramente alcune settimane fa,  ripubblichiamo questo suo racconto,  vincitore nel 2007 del premio Violetta di Soragna.  
La stanza era penombra, com'era giusto fosse nel compiersi di un’agonia, ma dalle fessure delle tapparelle non completamente serrate filtravano i raggi del sole che con appropriata sollecitudine si stava abbassando dietro i tetti delle case riverberando nell’aria piccole luci tremule e intermittenti quasi la morte gli regalasse un breve ricordo dei presepi della sua infanzia. Non ebbe molto tempo a disposizione per formulare tutti quei pensieri che aveva immaginato propri di una circostanza così esclusiva. 
Non disponeva di peccati di cui pentirsi dato che nella sua vita non ricordava di aver fatto male ad alcuno mentre gli erano presenti diversi accadimenti attraverso i quali era riuscito a portare un poco di felicità.
Quindi decise di compiere l’unica azione che aveva un senso in quel momento. Si girò lentamente verso la sua donna seduta accanto a lui sopra una piccola poltrona, cercando i suoi occhi. Lì si fermò e con inatteso stupore proprio lì trovò l’unico peccato veramente degno di essere confessato: l’aver guardato troppo poco dentro quegli occhi dando per scontato che avrebbero visto anche quello che lui non dava a vedere.
Non avervi indugiato abbastanza, con la lentezza di una curiosità appagata, per scoprire il sapore dei sogni che rendevano lieve il suo passo e quell'aura di infantile innocenza pur nella concretezza di modellarsi ad ogni situazione. 
Adesso, nel Tempo dilatato dalla certezza di una brevità, vi osservava riflessi d’ambra e gemme di biancospino, squarci di sereno dopo burrasche primaverili, il diamante prezioso di una maternità, lo scarlatto della passione, l’avorio della pazienza e una bellezza tranquilla e persuasa che non le conosceva. Il sorriso con cui la salutò la colse di sorpresa. Da quel sorriso uscivano tutti i non detti per la fretta di andare al lavoro, per un programma da non perdere, per i dolori che tacevano le voci, per la ritrosia a mostrare le emozioni giacchè, così gli avevano insegnato, non sarebbe stata cosa da uomo. Scivolò fuori dalla stanza senza voltare lo sguardo lasciandola con le parole che lei avrebbe riordinato, col metodo della memoria, nei giorni che dovevano venire, pur senza di lui. Dal bacio che lei posò sulla sua fronte assente mentre già da un’altra prospettiva la guardava, le rubò con un gesto che pretendeva ancora qualcosa di terreno, l’oro, l’incenso e la mirra dell’Epifania più commovente cui avesse assistito: il suono del suo nome come la prima volta lei lo chiamò, la mano tesa a lui di là dal fosso dove non aveva il coraggio di saltare.

Fonte: www.gazzettadiparma.it

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