" Le lingue bioregionali" di Gianfranco Zavalloni

http://www.calleadesign.com/store/images/orologi%20da%20parete/1568.jpgLA VERGOGNA DI PARLARE " DIALETTO"

Siamo in un epoca di passaggio, una fase storica in cui si rischia di perdere completamente le tradizioni linguistiche delle comunità locali. E' quel retroterra che oggi scientificamente possiamo definire patrimonio etno-linguistico. Andare verso una società multietnica e multiculturale senza radici profonde nel proprio contesto è estremamente pericoloso. La lingua parlata da una comunità è sicuramente uno degli strumenti primari per porre in profondità queste radici. E' chiaro che con questo non intendo dare valore unicamente alla madre-lingua. Ma è bene chiarire che cosa intendo quando uso termini come lingua, dialetto, comunità linguistica.

La lingua nazionale (per noi l'italiano) è la lingua con cui siamo abituati normalmente a comunicare e che fin da piccoli assorbiamo in maniera spontanea dal contesto socio-culturale e dai mass media. C'è poi la lingua locale. E' in genere quella che chiamiamo dialetto, e per molti parlanti è la madre-lingua. Il dialetto è una lingua e ciò significa che dal punto di vista linguistico non è il "sottoprodotto" della lingua nazionale o di altre parlate. E' un sistema di comunicazione autonomo e compiuto, anche se conta un numero limitato, o anche limitatissimo, di parlanti. La lingua nazionale è un dialetto. Prendiamo come esempio il francese attuale: esso non è altro che il dialetto di Parigi il quale, in virtù della forza centrifuga dispiegata dalla capitale, è andato gradatamente estendendosi su tutta la Francia. In che cosa consiste dunque la diversità fra dialetto e lingua? Nel fatto che il dialetto conosce un uso limitato nello spazio e costituisce la voce di un mondo, di una cultura circoscritti: alla famiglia, al paese, alla provincia. (Cfr G. Freddi Progetto ITALS - Italiano come lingua straniera, Brescia CLADIL, 1974)

 

Nelle nostre realtà la lingua-madre dialetto è parlata in famiglia soprattutto dai nonni e in buona parte dai genitori. In genere è una lingua parlata dagli adulti dai 30-35 anni in su, capíta da chi ha meno di 30 anni ma non parlata, generalmente, da quest'ultimi. Un individuo, che nel proprio repertorio linguistico conti solo sulla lingua locale, ha un'autonomia comunicativa assai limitata. Il suo raggio di socializzazione o acculturazione difficilmente supererà i confini della provincia. Se noi riconosciamo gli aspetti positivi dell'insegnamento dell'italiano nei quasi 150 anni dello Stato unitario italiano non possiamo però dimenticare che milioni di ragazzi sono stati educati nell'ignoranza di loro stessi e delle loro origini. Si è creato un clima culturale e sociale in cui ci si vergognava di parlare il “dialetto” dei loro genitori e si arrossiva delle proprie origini popolari, contadine, montanare. Ci si sentiva stranieri nella propria terra. Un siffatto imbarazzo psicologico ha intralciato il progresso intellettuale e ritardato la promozione sociale così.

 

REINTRODURRE LE LINGUE BIOREGIONALI A SCUOLA

 

Tavo Burat, esponente storico dei movimenti di difesa delle minoranze etno-linguistiche sostiene giustamente che "con una doverosa introduzione nella scuola della cultura e della parlata regionale, si porrebbe termine ad un'alienazione ingiusta e crudele. Si restituirebbero ai giovani la fiducia nella propria comunità e la fierezza delle proprie origini sociali. Attraverso la conoscenza della letteratura regionale (anche di quella di tradizione orale: canti, leggende, ecc.) gli allievi scoprirebbero le pagine e le espressioni più preziose di coloro che scrivono nel linguaggio familiare, quello di tutti i giorni: della casa, dall'amicizia e del lavoro. Vedrebbero che l'accademismo non è necessariamente il criterio di una cultura superiore. I figli degli immigrati, lungi dal sentirsi imbarazzati dall'incontro scolastico con la cultura locale, avranno un valido strumento per meglio inserirsi nella comunità che li ospita. Insegnare la lingua locale a scuola, è come offrire, sulla mano aperta, la chiave di casa. E' quindi un atto di apertura, e non di “chiusura”, come invece alcuni “glottofagi” vanno cianciando. Del resto è frequente il caso, specie in provincia, di ragazzi figli di immigrati i quali parlano la lingua locale con più slancio e sicurezza di quelli del posto (tipico è l'esempio, dei patoisants calabresi in valle d'Aosta!).

Se la lingua locale entra nella scuola, si introduce la preparazione costante con l'italiano, la ginnastica intellettuale del passaggio da un codice linguistico all'altro. Si invoca l'insegnamento del latino per dare all'allievo l'esperienza di una struttura grammaticale differente dalla nostra: la stessa funzione è esercitata, su una base molto più larga non (ancora!) a livello meramente archeologico, dal “dialetto”. Si farà nascere così nell'allievo un vero “fiuto” linguistico, una più precisa percezione dei fatti grammaticali. Ammorbidiremo il suo spirito, strappandolo al monolitismo di una sola grammatica e di una norma dogmatica." (manoscritto inedito di Tavo Burat)

Non v'è affatto incompatibilità di principio tra lo studio delle nostre parlate bioregionali, veicolo di una civiltà ad un tempo intima ed umanista, e quello delle lingue delle relazioni internazionali. E siamo così alla terza componente linguistica: la lingua straniera. Conoscere un lingua straniera è, in questo senso, una modalità per superare il nostro etnocentrismo. Avere la possibilità di comunicare con lo straniero nella sua lingua o in una lingua che entrambi conosciamo permette il superamento di un potenziale condizionamento al colonialismo culturale. L'esperienza di una lingua artificiale come l'esperanto, che pure poteva assolvere a questo compito di evitare la colonizzazione di una lingua sulle altre, ha dimostrato che una lingua è tale se riesce a trasmettere i sentimenti e tutti quei particolari "stili di vita" di un popolo.

Cresciuti con la conoscenza del proprio ambiente umano, come già del resto prevedono i programmi scolastici, gli scolari apriranno il loro cuore alla visione del mondo a partire dal proprio paese. Ne trarrà vantaggio l'universalità della cultura, poiché questo allievo, a proprio agio nelle tradizioni locali, naturalmente rinnovate e modernizzate, affronterà senza squilibri psichici le grandi trasformazioni sociali del nostro tempo: buona parte dello smarrimento che minaccia la gioventù moderna troverebbe un valido rimedio in questo umanesimo nostrano, di cui auspichiamo l'ingresso nella scuola. (manoscritto inedito di Tavo Burat)

 

PER UN LINGUISMO BIOREGIONALE

 

Noi vogliamo:

  • rinnovare il contatto tra la cultura popolare e la scuola;
  • restituire il bambino al suo ambiente, grazie ad una pedagogia veramente innovatrice;
  • dare al bambino un'idea più democratica, più giusta, non razzista della cultura;
  • portarlo a conoscenza delle migliori produzioni orali e scritte nella sua lingua bioregionale;
  • nutrire l'insegnamento della lingua italiana mediante la comparazione costante con la parlata familiare;
  • rendere percettibili tutti i rapporti esistenti tra cultura in italiano con la cultura (bio)regionale, convinti che essi determinino il volto vero, benché misconosciuto, della vita intellettuale della penisola italiana;
  • difendere e valorizzare, anche nell'interesse del patrimonio spirituale dell'Italia e dell'Europa, culture oggi ancora (malgrado tutto!) vitali, ma che rischiano tra poco di estinguersi;
  • evidenziare come il patrimonio delle “mille culture” italiane, non sia meno prezioso di quello costituito dai monumenti, dalla fauna e dalla flora, dal paesaggio.

Di conseguenza, noi domandiamo:

  • che gli insegnanti siano formati con metodo all'insegnamento della civiltà e della cultura popolari bioregionali;
  • che tutti gli allievi nella Repubblica Italiana abbiano le fondamentali nozioni della loro civiltà originaria;
  • che, sin dalla scuola materna e comunque dal primo ciclo, si eviti di sradicare il fanciullo dal suo ambiente naturale e che si rinsaldino, invece, le radici umane che lo legano alla sua comunità ed alla sua terra;
  • che lo si inizi, in seguito e progressivamente, alla conoscenza della sua cultura originaria inserita nella cultura e nella lingua locale e queste nel più grande ambito macroregionale e statale; per le minoranze di comunità linguistiche parte di comunità linguistiche comprese in altri Stati, che esse possano, nel contempo, accedere alla cultura cui si riferisce la loro parlata locale (albanese, croata, francese, greca,occitana, slovena, croata);
  • che, quando si affrontano i problemi della cultura, si insegnino tutte le forme di questa cultura, nel quadro storico e geografico che le sono proprie, in prospettiva, appunto, bioregionale;
  • che questo insegnamento sia integrato nei programmi e negli orari anche per iniziativa dell'amministrazione regionale e che se ne tenga conto agli esami di licenza e di maturità;
  • che l'insegnamento superiore formi una classe dirigente regionale istruita nella propria cultura ed in grado di inserire quest'ultima nel più vasto quadro europeo.

www.scuolacreativa.it/romagnolo.html

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