Il poliglotta nel calcio: linguaggio universale ma lingua necessaria
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Il calcio è un linguaggio universale. Moduli, schemi, frecce dei giocatori che ne configurano gli spostamenti sul campo; e ancora zone di pressing, posizioni sui piazzati difensivi e offensivi. Tutto questo può essere spiegato a parole, ma il vero significato lo si trova sul campo. Alla fine sono i concetti di base quelli che importano, la lingua la si può apprendere tranquillamente dopo.
Ma nel calcio moderno non conta solamente quello che dici in campo, ma anche fuori di esso. Il rapporto con i media diventa parte integrante del lavoro, e non può essere ignorato a lungo. Per questo ogni sillaba va pensata, bilanciata. E forse affidarsi ad un traduttore può essere ritenuto anche troppo semplicistico, anche se per molti, almeno inizialmente, necessario. La conferenza stampa di presentazione è, appunto, di presentazione; un modo per conoscere l'ambiente, i giornalisti. Sicuramente mostrare già una certa padronanza della loro lingua può essere un punto di partenza molto buono, mostra la volontà e la voglia di dedicarsi al proprio lavoro a 360 gradi; nonostante i concetti del calcio siano praticamente universalmente comprensibili. Sembra una contraddizione, una fatica sprecata: "Se voglio che il terzino pressi alto, in qualche modo lo capirà". Anche perché nel calcio senza frontiere, Guardiola può imparare il tedesco e poi trovarsi a discutere con una variopinta realtà di giocatori.
Pep alla fine è solo l'ultimo esempio, ormai essere poliglotta è all'ordine del giorno. E non tanto per farsi capire in campo, ma per capire quello che succede all'esterno. Quello che viene detto, quello che si scrive. Molti dicono che tutto questo lascia il tempo che trova, che alle chiacchiere esterne non si fa molto caso; forse non è del tutto vero.
Autore: Gianluca Losco
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