Decalogo: i consigli per imparare davvero una lingua straniera – Parte 1- di David Tonarini
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Del fatto che il talento non sia un fattore poi cosí importante nell’imparare una lingua straniera ho discusso qui. Nello stesso articolo ho però confermato che si tratta di un compito difficile in ogni caso. Se le strategie sono sbagliate, può diventare impossibile. Purtroppo, i metodi tradizionali non sono in genere molto efficienti. Vediamo allora quali sono i consigli piú importanti per incrementare sia la rapidità sia la qualità con cui si apprende una nuova lingua. Di seguito elenco cinque punti, e prossimamente ne indicherò altrettanti per completare un breve decalogo sull’apprendimento delle lingue. Per chi volesse approfondire, rammento che tra i corsi Aurora sull’apprendimento ne esiste uno specificamente indirizzato allo studio delle lingue straniere.
Si noti che i seguenti consigli sono molto generali, e quindi possono non essere i piú adatti a ognicircostanza. Ci possono essere situazioni con esigenze specifiche, ad esempio. Bisogna anche indicare il gruppo di riferimento, che in questo caso è principalmente persone appassionate, autodidatti, o individui che hanno risorse e tempi limitati da dedicare allo studio. È infatti in queste circostanze che è piú necessario ottimizzare: se io studio una nuova lingua con il metodo tradizionale, ma lo faccio per 8 ore al giorno in un indirizzo universitario che dura 3 anni, è chiaro che la imparerò bene. Ma questa non è la situazione che vive il gran numero di persone che si decide di voler “imparare una lingua”, e che in genere fallisce proprio perché non adopera metodi ottimizzati. Inoltre, usare strategie poco efficaci può danneggiare anche chi ha le migliori possibilità di apprendere, e che potrebbe farlo troppo lentamente o restando a livelli mediocri (chi di noi non conosce persone straniere che, pur avendo vissuto in un paese per anni, continuano a parlare maluccio?)
1) Usare strategie metacognitive
Con questo termine insolito si intende in realtà qualcosa di abbastanza semplice… ma che si tende a non fare nonostante sia uno dei fattori determinanti del successo. La “metacognizione” è, sostanzialmente, il “pensare riguardo alla cognizione”: in pratica, la riflessione attiva su quello che si fa e su come si opera mentre apprendiamo. Si tratta quindi di pianificare l’apprendimento, monitorare il lavoro, verificare i risultati. Sembra banale? In realtà, la mancanza di questi elementi è solitamente il primo e principale errore di chi fallirà nell’apprendere una lingua desiderata (nonché l’errore su cui io stesso ho sbattuto la testa nei miei primi 4 o 5 tentativi andati a vuoto). Infatti il primo errore consiste nel dirsi “voglio imparare il russo!” (o quel che è), e chiedersi poi “che libro di testo scelgo?” Questo denota una evidente mancanza di chiarezza in obbiettivi, programmi, aspettative concrete. Ovvero: di strategie metacognitive. Infatti, “imparare il russo” è un termine che non vuol dire niente. Si può “imparare il russo” andando suGoogle Translate e studiandosi una parola settimana. “Sto imparando, sto imparando”, si pensa, e non c’è dubbio che sia cosí. Ma alla fine smettiamo senza risultati. Perché il semplice fatto di “imparare” non serve a nessuno. Cosa voglio imparare di preciso? Cosa di preciso mi offre un determinato metodo di studio, o un certo materiale? Qual è il mio obbiettivo? Può benissimo capitare (è successo a me) di aver “completato” uno o piú libri, magari sapere benissimo parecchie norme grammaticali e avere un bel vocabolario, poi andare all’estero, convinti di fare bella figura con la nostra padronanza della lingua. e ritrovarsi in difficoltà nelle cose piú basilari. Perché? Semplice: se il nostro obbiettivo era di comunicare coi parlanti nativi, leggersi un manuale di grammatica e magari sapere come si dice “quercia” e “canguro” non serve a granché. Una migliore metacognizione ci avvrebbe invece suggerito di concentrarci sulla pronuncia, sull’ascolto, e sull’acquisire familiarità con espressioni popolari. Magari non avremmo saputo esprimere “il canguro è seduto sopra la quercia” con una forma grammaticale perfetta, ma avremmo potuto comunicare. Era quello che ci interessava, no?
2) Eliminare materiale inutile
Punto connesso col precedente. Una delle pecche dell’insegnamento tradizionale è che ha una definizione formale e astratta di materiale necessario. Per questo include un sacco di cose inutili, che sono mere curiosità all’atto pratico. Ad esempio, nel secondo capitolo del primo manuale di finlandese che usai tempo fa erano insegnati tutti i nomi dei paesi europei, oltre a parole come bandiera, inno nazionale, stemma (o emblema?). Ora, qual è l’utilità di sapere che in finlandese Lituania si dice Liettua quando non so ancora come si dice “come va?”. Questo problema, che sembrerebbe evidente, è comune alla maggior parte dei programmi tradizionali, che non sono basati sulle cosiddette statistiche di frequenza: gran parte del linguaggio comunemente usato è infatti composta da un insieme ristretto di parole o espressioni. Conoscere questo insieme ristretto può immediatamente fornirci un elevato livello di compresione, che ci consentirebbe poi di approfondire e progredire con grande efficacia. Spesso invece si raggruppano le cose per significati, ad esempio presentando tutti i colori per volta, indipendentemente dal fatto che magari “turchese” non è un termine poi cosí fondamentale da imparare per un principiante (c’è pure un altro problema connesso con questo tipo di approccio, che vedremo nell’articolo successivo). Quindi, bisogna stare attenti a selezionare il materiale piú utile per non studiare a vuoto. Questa può anche essere una scelta personale. Ad esempio, ho di recente iniziato a studicchiare il giapponese. Non ho esigenze professionali, e lo faccio perché mi affascina il suono della lingua. Come si saprà, uno dei problemi dello studio del giapponese è il complicatissimo sistema di scrittura. Ma a me onestamente non interessa: al momento non ho curiosità particolari verso la letteratura giapponese, ad esempio, e la lingua mi interessa per il suono. Dunque mi concentro su quello. Diverso ad esempio il caso del russo, dove il mio parlato è sufficiente per i miei (modesti) scopi, ma voglio approfondire perché sono interessato alla letteratura in questa lingua. Pertanto, nel caso del giapponese mi concentro sul parlato, nel caso del russo sullo scritto, perché questi sono i miei interessi, e quindi il modo migliore per raggiungere i miei scopi è concentrarmi su di essi, invece che seguire un programma generico e perdere un sacco di tempo e risorse per studiare aspetti inutili (per me). Esistono poi aspetti sostanzialmente inutili in generale, come la grammatica. Questo tende a sorprendere i piú. “Come posso parlare correttamente senza conoscere la grammatica???” Basta rispondere: “ti piacerebbe parlare allo stesso livello di un bambino madrelingua di 7-8 anni, che non ha neanche alcuna idea di cosa sia la grammatica?” Oppure: siamo sicuri di ricordare cosí tanto delle numerose lezioni di grammatica fatte a scuola? Non sostengo che sia una materia inutile in generale, sia chiaro. Anzi, personalmente mi interessa, visto che sono appassionato di lingue e linguistica. Ma non ci aiuta a imparare la lingua. Non si parla correttamente perché si conosce la regola grammaticale. Si parla correttamente se una certa espressione ci è spontanea, e questo avviene se la usiamo abitualmente… anche senza sapere perché è corretta o perché non se ne usa una diversa. Tra l’altro, ci sono ragioni precise, che dipendono dal modo in cui il nostro cervello apprende, per cui uno studio formale non è utile, e anzi può essere nocivo. Come “prova del nove”, prendiamo gli esperimenti fatti con le cosiddette grammatiche artificiali. A un gruppo di soggetti sono semplicemente indicate espressioni di cui è specificato se sono corrette o scorrette, senza indicare alcuna regola. A un altro gruppo sono spiegate le regole sottostanti della grammatica. Se poi sono mostrate nuove espressioni e si chiede di distinguere quelle corrette dalle sbagliate, non solo il primo gruppo aveva imparato a farlo nonostante la mancanza di alcuna istruzione formale… ma addirittura tendeva a ottenere risultati migliori dell’altro gruppo a cui era spiegata la regola.
3) Come si dice e come si scrive
Anche qui non voglio scendere nei dettagli su come la nostra mente percepisce i suoni (lo farò altrove), ma è importante sapere che non percepiamo realmente i suoi pronunciati. Piuttosto, li reinterpretiamo in base alle nostre aspettative, che possono essere formate dalla nostra esperienza precedente, o anche da altri elementi, come la scrittura. Ad esempio, la maggior parte degli italiani tende a pronunciare le lettere mute della lingua inglese. Quindi knight non può essere night: c’è una k davanti, e quindi magari è flebile ma c’è! In realtà, nella pronuncia non c’è davvero. Ma ci sono casi piú complessi, e chi apprende tramite un testo scritto ne soffre quasi sempre le conseguenze nella pronuncia. Non potendo sapere quali lingue straniere parla chi mi legge, per provare a chiarire farò un esempio tratto dall’italiano. Prova a pronunciare “a casa”. Ora, uno straniero lo pronuncerebbe probabilmente “acása”, mentre un madrelingua (correttamente) lo pronuncia “accása”. Donde spunta la doppia? È una regola della nostra lingua: la “a” è una cosiddetta cogeminante, ovvero determina il raddoppiamento (detto fonosintattico) della consonante che segue. È una regola di cui in genere non siamo al corrente (tanto per sottolineare ancora come la conoscenza formale della regola non serva per parlare correttamente) ma che esiste. Ora, già è difficile “carpire” la reale pronuncia di una lingua persino ascoltando. Se poi costruiamo la nostra pronuncia sulla base di una parola scritta (l’ortografia non mostra mai tutti i dettagli della pronuncia), non dovrebbe sorprendere che non siamo in grado di parlare bene, né di comprendere facilmente quello che dicono gli altri (perché ci “aspettiamo” suoni diversi). Ricordiamo che un madrelingua impara a parlare, e solo piú tardi (eventualmente) a trascrivere quanto dice. È quanto dovremmo fare anche noi se vogliamo essere in grado di acquisire un buon livello di comprensione e pronuncia. Tra parlato e scrittura c’è una bella analogia usata dal linguistica McWhorter: “se il linguaggio in sé, parlato, è come un essere umano reale, la scrittura è come un personaggio dei Simpson; se già siamo familiari con l’oggetto reale, è facile capire le somiglianze e i riferimenti, ma se non fossimo mai stati sulla Terra e avessimo unicamente visto le puntante dei Simpson potremmo farci un’idea assai bizzarra e inesatta di come è fatto un essere umano”.
4) Immersione… senza andare all’estero
Anche questa sembra una banalità. Per imparare bene una lingua serve immersione, ovvero un contatto pieno con la stessa. Se volessi imparare il tedesco, la mia migliore soluzione sarebbe andare in Germania, ovvero calarmi in un contesto dove sarei costretto a usare il piú possibile tale lingua. Credo che su questo nessuno abbia dubbi. Il punto è che la maggior parte di noi magari non ha le risorse o il tempo per andare per qualche settimana o qualche mese all’estero per imparare la lingua! Dunque, che fare? Sfruttare ogni possibilità di immersione (nel contesto linguistico) che ci offre l’ambiente circostante. Si può pensare che non ce ne siano, ma basta essere fantasiosi, soprattutto nel mondo tecnologico di oggi. Ecco giusto qualche idea: impostare cellulare, portatile, televisione, navigatore e altri strumenti nella lingua che vogliamo imparare; comprare dvd in quella lingua o con sottotitoli in quella lingua; seguire trasmissioni radio o video; circondarsi di stimoli (ad esempio, etichettando la casa o la propria stanza con i nomi dei vari oggetti nella lingua che vogliamo apprendere); organizzarsi per scambi linguistici tramite programmi di videocomunicazione come Skype.
5) Sfruttare tecniche di memoria
Una delle ragioni per cui apprendere una lingua è difficile è che la nostra memoria è strutturata in maniera associativa. Ovvero, un ricordo è tanto piú solido quanto piú è collegato alla nostra conoscenza precedente. Possiamo fare un paragone con i numeri, che parimenti sono difficili da ricordare. Una sequenza numerica di 8 cifre non è facile da memorizzare (quanti di noi ricordano a mente tutti i numeri in rubrica?), ma per me ricordare il numero 31081985 è una banalità, anche senza dover usare alcuna tecnica di memoria (mnemotecnica): il numero mi è perfettamente familiare perché è la data del mio compleanno. Pertanto, lo ricordo senza problemi, non perché sia intrinsecamente piú facile da memorizzare di una sequenza numerica di 8 cifre qualsiasi, ma perché mi è molto familiare (ergo, è associato a una conoscenza precedente). La stessa cosa può essere fatta per gli elementi delle lingue straniere, ad esempio (e principalmente) parole o espressioni. Quindi ricordare che in giapponese cielo si dice “sora” può essere difficile, visto che sarebbe una semplice sequenza sonora priva di significato e familiarità. Ma sarebbe molto piú facile provando a pensare a “suora” (o, per me, appunto “sora”, in livornese!) e magari immaginandosi che stiamo andando in Giappone, e notiamo dal finestrino dell’aereo che in cielo, a mo’ di Superman, sta svolazzando una suora. Il processo non è sempre cosí immediato, ma esistono metodi per applicare questo tipo di conversioni nei contesti piú disparati (anche non linguistici, ad esempio, è possibile convertire i numeri in immagini; in effetti, sfruttando tecniche di conversione è possibile trasfromare ogni cosa in immagini, ma questo non sempre è benefico e non può essere considerato un approccio universale). Non per nulla, nei corsi di apprendimento efficace delle lingue su Aurora dedichiamo quasi un’intera lezione a spiegare i vari modi in cui è possibile ricordare meglio gli elementi di una lingua straniera, e discutere quando e come è bene usarli.
Conclusione
Questi sono consigli di immediata applicazione che possono essere integrati nel nostro metodo di apprendimento o studio già esistente. Imparare bene una lingua straniera è complicato ed è difficile condensare tutto quanto c’è da dire al riguardo in pochi punti. Questi mi sembravano i piú importanti per iniziare. Vedremo nella seconda parte del decalogo altri tre punti importanti che, a differenza dei precedenti, saranno considerazioni generali valide per ogni processo di apprendimento, anche se continuerò a usare il contesto dello studio delle lingue come esempio. Saranno considerazioni leggermente piú teoriche in quanto si basano sul funzionamento della nostra mente, anche se cercherò di mantenere al minimo i dettagli tecnici. Sono però elementi fondamentali e che è assolutamente necessario conoscere per imparare con efficacia. Per concludere, nella terza parte fornirò gli ultimi 2 consigli, che riguarderanno applicazioni pratiche di quanto discusso in precedenza e metodi semplici per incrementare il livello del nostro studio.
http://demitogroup.com/blogtonarini/decalogo-i-consigli-per-imparare-davvero-una-lingua-straniera/