Bilingue per finta
-
Quando aspettavo Meryem, il pensiero della bimba bilingue mi attraeva non poco. In modo semplice, naturale, spontaneo, mia figlia avrebbe parlato il turco, una lingua che i più accaniti e motivati orientalisti faticano non poco ad imparare. Ho cominciato a sospettare che la cosa non fosse così semplice un tardo pomeriggio della primavera precedente alla nascita di Meryem: il nostro vicino tedesco, sposato a una francese e fiero genitore di due ragazze perfettamente trilingui, portò il discorso sull’educazione linguistica. “Disciplina!”, esclamò con l’entusiasmo che solo un teutonico sa mettere in questa parola. “Ci vuole disciplina assoluta. Io non ho mai parlato alle mie figlie una parola che non fosse tedesco, così come mi moglie non ha mai parlato se non in francese. Mai. Neanche davanti agli insegnanti. E poi parlare non basta. Noi facciamo fare alle bambine regolari compiti scritti di grammatica in entrambe le lingue e un mese l’anno le portiamo a trascorrere un periodo, alternativamente in Germania e in Francia, in modo che possano frequentare almeno tre settimane di scuola locale e verificare che il loro apprendimento sia in linea con quello dei loro coetanei”. Abbiamo sorriso, gli abbiamo offerto il tè e abbiamo pensato: “Questo è pazzo”. Le dolci fanciulle trilingui, con ogni probabilità, appena saranno fisicamente in grado si doteranno di accetta (o comunque essa si chiami in tedesco o il francese) e depezzeranno gli zelanti genitori poliglotti. Poco ma sicuro.
Che questo non sia e non potesse essere in alcun modo essere il nostro stile ci è apparso evidente, e non solo per motivi di scelte pedagogiche. Il primo problema è che Nizam parla turco, ma è curdo. “Meglio!”, penserete voi. No, affatto. Lui non è bilingue, è solo privo di madrelingua. Dopo varie conversazioni in merito lui ha detto la frase storica: “Io non ho una lingua madre, ho solo lingue zie”. Non possiede del tutto né l’una nell’altra. Spesso in turco gli mancano dei termini, ma del curdo a volte gli mancano interi capitoli della sintassi. Ha fatto le scuole in turco, parla con i fratelli un po’ e un po’, con i genitori curdo, ma mai oltre una conversazione elementare. Quindi, se deve essere spontaneo, le mischia. Secondo problema: io capisco un po’ il turco, affatto il curdo e soprattutto non parlo né l’uno né l’altro. Ammettiamo, se lui a casa parlasse solo turco (o curdo, o entrambe), avremmo un serio problema di comunicazione. Nulla di ingestibile, ma dovremmo davvero essere fortemente motivati e forse non lo siamo abbastanza. Terzo problema: ammettiamolo, il turco (o il curdo) non è come l’inglese, il francese o il tedesco. Parlarlo davanti a un’ospite o una nonna che non ne capisce un’acca, ben difficilmente viene considerato una finezza cosmopolita. Il minimo che ci rimedi è un’occhiataccia. Nizam non ce la fa proprio a farlo, gli pare maleducazione.
Risultato? Meryem non è bilingue. Da piccola capiva abbastanza il turco, apparentemente, ma a un certo punto ha iniziato a correggere il padre traducendo in italiano quello che diceva. Ora il suo vocabolario turco comprende un numero molto limitato di termini e, precisamente: ciao ciao, gatto, scoiattolo, dromedario e tulipano. Non granché, per una conversazione. Ciò non toglie che, di tanto in tanto, Meryem si mette a chiacchierare in una lingua immaginaria, che sostiene essere turco. Noi sappiamo che bara, anche se a volte ci prova anche con Nizam (!). Ma sfido quasi chiunque altro a contraddirla. Sospetto che le maestre del nido, ad esempio, sopravvalutino di molto la nostra capacità di educare al bilinguismo.
Autore: Yeni Belqis
Fonte: http://genitoricrescono.com/bilingue-per-finta/