Apprendimento linguistico. Sfruttare la forza del richiamo: piú richiamo, meno studio

http://s2.stliq.com/c/m/9/99/29977717_all-della-letto-scrittura-prima-parte-0.jpgCol termine «richiamo» indico il momento in cui recuperiamo dalla memoria un’informazione. Normalmente non lo consideriamo una componente dell’apprendimento. A quel punto, il ricordo è formato, e si tratta solo di andarlo a prendere, no? In realtà, il richiamo è una componente fondamentale di ogni processo di memorizzazione. Non posso scendere nei dettagli (nei corsi sull’apprendimento e sulla memoria dedico un’intera lezione esclusivamente al richiamo, tanto è importante e vasto l’argomento), ma ecco alcune considerazioni pratiche. Si pensa generalmente che l’apprendimento avvenga durante lo studio, e che l’eventuale esame finale non sia altro che una verifica di quanto si è appreso. Ma questo non è vero. È stato dimostrato sperimentalmente ed è ormai considerato ben assodato il fatto che l’apprendimento possa avvenire in entrambe le situazioni, e che in effetti dedicare piú tempo al richiamo fornisce risultati superiori che ristudiare il materiale. Nei corsi spiego questo illustrando i risultati di vari esperimenti. Qui mi limiterò a citarne uno, che mi consente di illustrare due punti importanti. A degli studenti è stato chiesto di apprendere una lista di parole di una lingua straniera. Alcuni potevano dedicare il doppio o il triplo del tempo in condizioni di studio. Gli altri dovevano dedicare questo tempo al semplice richiamo, senza piú avere accesso al materiale. È stato poi chiesto loro di prevedere i risultati quando, una settimana dopo, sarebbe stato verificato quanto ricordavano. Gli studenti non hanno previsto alcun effetto. Invero, sfruttare il «richiamo» desta molte perplessità. Spesso ci sono cose che non ricordiamo piú, e quindi la tecnica non sembra avere senso in quanto perderemmo progressivamente almeno parte delle informazioni. Inoltre, la nostra memoria non può competere con la completezza del testo originale: sembrerebbe che avere il materiale sotto gli occhi non possa non offrire i migliori risultati. Non per nulla, esistono un sacco di tecniche di studio che promettono grandi risultati, e che consistono proprio nel mettere in pratica sistemi per prendere appunti in modo da avere tutto sott’occhio. Al contrario del richiamo, questo tipo di tecniche è percepito come molto utile e desta spesso reazioni entusiastiche. Ma, come spesso accade, i risultati obbiettivi sono ben diversi da quelli che prevediamo sulla base della mera percezione soggettiva. Gli studenti che, nell’esperimento precedente, avevano dedicato piú tempo al richiamo piuttosto che allo studio non credevano di averne tratto alcun beneficio. Ma hanno ricordato circa 80% del materiale. Gli altri, che avevano potuto «beneficiare» di poter studiare e ripassare il materiale, «averlo sotto gli occhi» molto piú a lungo, ricordavano solo il 30%. Questo e molteplici altri esperimenti hanno fatto sí che al giorno d’oggi sessioni frequenti di richiamo siano considerate la miglior garanzia di apprendimento efficace. Meglio (e di gran lunga, come dimostra il 50% in piú ottenuto in un recente esperimento) anche rispetto ai metodi di studio «avanzati» che qualcuno offre in corsi da 1000€ . Ci sono anche solide ragioni teoriche per preferire il richiamo ad altri metodi di studio, ma non mi ci dilungo qui. Dunque, studiamo il materiale nuovo, ma evitiamo di ristudiarlo troppe volte: è inutile. Piuttosto, cerchiamo di richiamarlo alla mente. Se ci sembra di non riuscire troppo bene o di ricordare poco, non è un problema. Il ricordo migliorerà col tempo. Questo non vuol dire che si debba leggere un’unica volta e poi gettare via il libro, ovviamente. In effetti, esiste il cosiddetto «effetto potenziante del richiamo». Il fatto di ristudiare un’informazione dopo aver prima provato a richiamarla migliora ulteriormente i risultati. I prossimi due punti parleranno ancora di richiamo, per stabilire dove e quando farlo.

http://demitogroup.com/blogtonarini/decalogo-i-consigli-per-imparare-davvero-una-lingua-straniera-parte-2/

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