Apprendere le lingue nella terza età ( Seconda parte)
-
In una prima fase i programmi di mantenimento dell’ “efficienza mentale” tendevano - sulla base dei principi della riabilitazione cognitiva post-traumatica - a privilegiare le funzioni cognitive più tenaci e resistenti, trascurando quelle che sono più soggette a indebolimento progressivo.
In altre parole si tendeva a mantenere in esercizio quello che già si sapeva fare, in modo che le relative capacità non si indebolissero, ma non altrettanto a stimolare funzioni ormai già meno frequentate, magari esercitandosi ad apprendere cose nuove, che notoriamente richiedono un particolare sforzo di attenzione e il coinvolgimento di aree cerebrali particolarmente soggette al processo di invecchiamento.
Questa impostazione sta subendo negli ultimi anni una revisione (Goldberg 2005). Il motivo di questa svolta è dato da una maggiore consapevolezza che la plasticità del cervello, cioè la sua capacità di modificarsi e rimanere “elastico”, non si esaurisce nelle prime fasi della vita ma si mantiene, sia pure entro certi limiti, anche in vecchiaia.
All’idea che il sistema cognitivo sia costantemente “in perdita” lungo tutto il corso della vita (p.e. a causa della diminuzione del numero dei neuroni e della loro funzionalità) si è sostituita la consapevolezza che una moderata reattività anche a stimoli nuovi permane nel tempo e anzi va sollecitata, se non si vuole che il sistema cognitivo si irrigidisca in una tendenziale atrofia.
Questo apre le porte alla possibilità di prendere in considerazione quale “profilassi cognitiva” per la terza età anche l’apprendimento delle lingue straniere, benché ancor oggi esso non figuri in genere tra le attività più frequentemente consigliate e promosse dei programmi di potenziamento cognitivo per gli anziani, proprio perché considerata troppo esigente e complessa: in pratica l’idea diffusa è che l’apprendimento linguistico sia poco adatto a un’età matura, poiché richiede una concentrazione e attenzione intensa e prolungata, cospicue doti di memoria, un sistema percettivo (vista e udito) in piena efficienza, ecc.
A ciò si aggiungono fattori psicologici che sembrano interferire con questo tipo di compito, come la possibilità di perdere la faccia, lo stress da prova di verifica, la lunghezza dell’impegno richiesto prima di ottenere un risultato e via dicendo. Un elemento aggravante, infine, può essere considerato la mancanza di metodi didattici espressamente sviluppati per questo tipo di pubblico e conseguentemente di corsi specificamente disegnati.
L’insegnamento agli anziani non viene in generale condotto con modalità specifiche ma è assimilato alle modalità correnti per l’insegnamento agli adulti (che spesso sono disegnati per adulti giovani, quali studenti universitari o in fase di formazione professionale) o per l’insegnamento generale della lingua. Prima di prendere in considerazione questi svantaggi attribuibili alla condizione di apprendente anziano (e di sottolineare tuttavia anche alcuni vantaggi!), esaminiamo i motivi che inducono a ritenere che l’apprendimento di una lingua straniera sia particolarmente adatto per un programma di “profilassi cognitiva”, intesa come insieme di attività sviluppate al fine di mantenere, e se possibile incrementare, l’elasticità cerebrale dell’anziano. ( 2 Segue/ Fonte: labeleuropeo)