La decisione giusta? Pensate in un’altra lingua
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I bias cognitivi (trappole mentali) sono diffusi, sistematici, e si ripresentano ostinatamente (è infatti difficile pensare in modo diverso da come pensiamo). Per questo è importante mettere a punto efficaci strategie correttive (ovvero di di de-bising). Ma se i bias sono ben documentati e confermati dall’evidenza in laboratorio e sul campo, lo stesso non può dirsi riguardo a tali procedure.
Un nuovo studio suggerisce un modo semplice, ma non meno sorprendente, per non esserne vittima: quando dovete prendere una decisione, pensate in un’altra lingua. Una lingua cioè che rende i vostro flusso di pensieri un po’ più difficoltoso e ferraginoso. A quanto pare, ciò vi renderà anche più "riflessivi".
I quattro diversi esperimenti di “The Foreign-Language Effect. Thinking in a Foreign Tongue Reduces Decision Biases” mostrano in particolare che pensare in una lingua straniera (se siete perfettamente bilingui dovrete pensare in una terza lingua) fa svanire l’ “effetto incorniciamento” e l’ “avversione alle perdite”.
Il primo è quello per cui il modo in cui sono descritte le opzioni di un problema di scelta influenza la vostra decisione; per esempio se preferirete uno yogurt magro al 90% invece di uno grasso al 10%. Il secondo è quello per cui perdere vi fa soffrire (psicologicamente) più del doppio di quanto vi faccia piacere una vincita di pari dimensioni; ovvero la ragione per cui non giochereste una scommessa che vi desse il 50% di vincere o perdere 100 euro (ma ne giochereste una che vi desse le stesse probabilità di vincere 250 euro e di perderne solo 100).
Gli autori suggeriscono che ciò avvenga perché la lingua straniera consente di “prendere distanza” dal problema e quindi di valutarlo in termini meno “emotivi”.
Il che mi ha fatto venire in mente un altro esperimento che mira nella stessa direzione (di cui avevo già parlato il mese scorso sul Corriere). Ecco di cosa si tratta:
Un gruppo di ricercatori di primissimo di piano del Caltech e della New York University ha misurato l’avversione alle perdite di vari soggetti facendo giocare loro delle lotterie opportunamente congegnate. Ne hanno quindi monitorato il loro livello di eccitazione per mezzo di uno strumento di conduttanza cutanea (quando ci si emoziona si produce un po’ più di sudore, quindi di umidità, che modifica la resistenza elettrica della pelle che può essere opportunamente rilevata), e soprattutto osservare il loro cervello attraverso tecniche di imaging cerebrale. I soggetti hanno effettivamente manifestato maggiore eccitazione per ogni dollaro perso che per ogni dollaro guadagnato, e in misura maggiore coloro i quali erano più marcatamente avversi alle perdite. Tale eccitazione ha trovato inoltre riscontro nell’attivazione dell’amigdala, un’area del cervello coinvolta nella gestione delle emozioni, in particolare della paura. Fin qui solo una conferma di ricerche già note. Ma attenzione a questa variante. Perché ora i soggetti ricevevano una sorta di addestramento. Gli veniva cioè insegnato un modo per “regolare le proprie emozioni”. Come? Attraverso opportune tecniche quali per esempio quella di immaginare di essere un trader professionista. Oppure di pensare che i soldi non fossero loro, oppure di mettere la posta in palio sullo sfondo della loro ricchezza complessiva o, ancora, di valutare un investimento in riferimento all’intero portafoglio e non al singolo titolo eccetera. Si tratta per molti versi di accorgimenti banali che si trovano sui vari “manuali dell’investitore”. Ma, per quanto banali, per un investitore amatoriale immaginarsi nei panni di un trader professionista funziona! Funziona nel senso che in questo modo il soggetto riesce a “prendere distanza” alla situazione emotivamente saliente ed essere meno vittima dell’avversione alle perdite. La conduttanza cutanea mostra infatti un minore livello di eccitazione di fronte alle perdite e la risonanza magnetica funzionale rileva una maggiore attivazione della corteccia prefrontale dorsolaterale (un’area deputata all’esercizio della razionalità) e una minore attivazione dell’amigdala.
Morale: possiamo cambiare il modo in cui decidiamo. Anche se siamo congenitamente avversi alle perdite e vittima di altri bias cognitivi, possiamo fare in modo esserlo di meno. Come? Semplice: immaginate di essere dei professionisti, e – mi raccomando – immaginatelo in un’altra lingua.
Di Matteo Motterlini
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