La mia Islanda, fra incanto e cultura

 

 di Michael Micci

michael.micci@studio.unibo.it

 Prima di partire: andare in Islanda per trovare il mio Nord

 Quando mi metto a parlare d’Islanda, mi piace far mio un concetto che ho imparato all’Università: ognuno ha il proprio Nord. Il Nord nell’immaginario di ogni popolo, forse di ogni singolo individuo, si trasforma in qualcosa di diverso, come se fosse un orizzonte mobile, come se si spostasse sempre più in là a seconda del punto di vista di partenza. Il Nord diventa così un punto d’arrivo simbolico, l’incarnazione di un mondo lontano, esotico e sorprendente, in cui saldare o rinsaldare il rapporto con il mondo e con se stessi, attraverso la scoperta e – perché no? – anche attraverso la sfida climatica.

Sin da quando ho iniziato una vera riflessione personale sul Nord, a caricarlo di significati esistenziali più o meno reconditi, ho pensato che fosse l’Islanda: la mia idea di Nord è sempre stata linguistica e musicale. La scintilla è scattata sulle note di Hoppípolla dei Sigur Rós, nel più banale degli approcci alla cultura islandese. Tutti ormai conoscono la band, basta sfogliare qualche pagina Facebook per capire che negli ultimi anni Sigur Rós, Of Monsters and Men e molti altri hanno contribuito a far esplodere in tanti giovani l’amore per l’Islanda, senza che da ciò sia scaturita una reale conoscenza del luogo, della sua collocazione geografica, delle condizioni climatiche, o dei costumi: “Che bello! L’Islanda! Ma è vero che lì vivono negli igloo?”, “Islanda? Bel posto… Ma fa parte dell’Europa?”, “Islanda? Devono esserci dei paesaggi stupendi… Ci sono anche gli orsi polari?”, “Vai in Islanda? Laggiù sono talmente pochi e passano talmente tanti mesi al buio che si suicidano, lo sai?”.

Ebbene, anche io sono partito per un viaggio immaginario verso l’Islanda sulle note di una canzone. Ho dapprima scoperto il fascino di quei suoni che si sovrapponevano alla musica e che mi sembravano integrarsi nell’orchestra di strumenti con perfetta armonia, il fascino quindi di una lingua così evidentemente antica, complessa, alle mie orecchie densa di mistero. Ho cercato presto di capire da dove venisse quel richiamo sonoro, di esplorare con le moderne tecnologie i paesi e i paesaggi di quell’isola lontana, grazie a pochi click, attraverso le immagini proiettate da uno schermo. Sono poi arrivati i libri, le riviste, i siti internet dedicati, le esperienze di chi c’era già stato, il corso di Letterature Nordiche all’Università di Bologna. È stato proprio grazie al corso che ho visto prendere forma la possibilità di partire davvero, di realizzare un sogno, di incontrare quello che negli anni era diventato a pieno diritto il mio Nord, la mia sfida esistenziale, linguistica, climatica.

Sono stato informato di un corso estivo di tre settimane di lingua e cultura islandese nella capitale dei fiordi occidentali, Ísafjörður: un paese di neanche tremila anime che sorge su una lingua di terra letteralmente incastonata in un fiordo. Una meraviglia, un grande opportunità. Non ho lasciato passare molto tempo prima di inoltrare la mia domanda di partecipazione e nel giro di poche settimane avevo già un programma ben definito: una settimana a Reykjavík, tre settimane nei fiordi a studiare, gli ultimi dieci giorni dedicati all’avventurosa esplorazione del Sud.

 Una sistemazione: trovarla è stato difficile, lasciarla altrettanto

 L’unico vero ostacolo che ho incontrato prima della partenza è stata la prenotazione di un alloggio: ho dovuto fare presto i conti con i prezzi piuttosto alti e con lo scarso numero di strutture, a Ísafjörður, capaci di offrire ai giovani studenti una sistemazione essenziale ed economica. Ci sono alcune pensioni, che vivono di turismo e in cui è difficile, visti i prezzi, prenotare una stanza non condivisa. Fra gli Hotel, l’unica offerta degna di nota è rappresentata dall’Hotel Edda: alloggi per studenti adibiti, durante la pausa estiva, a stanze per turisti, anche se piuttosto decentrati e incapaci di fornire il servizio per tutta la durata del corso. Il rientro in sede da parte degli studenti locali avviene infatti circa una settimana prima della fine del corso estivo. Ho scoperto, una volta arrivato, dell’esistenza di una manciata di case in affitto e difamiglie disposte ad ospitare studenti, benché di queste non vi fosse alcuna traccia nelle ricerche online fatte dall’Italia. Io personalmente ho alloggiato presso la pensione Litla gistihúsið, gestita da una coppia di coniugi innamorati del proprio Paese e della scoperta: hanno viaggiato molto e adorano la contaminazione culturale e linguistica. Il patto con il padrone della pensione è stato da subito chiaro: “io ti aiuto con l’Islandese, tu mi insegni qualcosa di Italiano”. Ho trovato un’atmosfera familiare impagabile. Poco prima di partire abbiamo trovato in cucina una gustosissima torta al cioccolato tutta per noi, un gesto di saluto e di amicizia: gli islandesi sanno come essere ospitali. La pensione era occupata fra l’altro soltanto da ragazzi partecipanti al corso e provenienti da ogni parte del mondo: all’orario dei pasti, alla sera, si trovava sempre qualcuno con cui cucinare, condividere una tazza di caffè, o delle chiacchiere. Io ho diviso una stanza doppia con una ragazza tedesca di nome Anja, conosciuta grazie a un annuncio inserito da me suTripadvisor, e sono riuscito a tenere il prezzo, per le tre settimane, intorno ai 900 euro.

 Il corso: un vero tuffo nella vita islandese

 Il corso si è svolto dal 5 al 23 agosto 2013 presso Háskólasetur Vestfjarða(http://www.uwestfjords.is/icelandic_courses/three-week_course_in_icelandic_and_culture/), un Centro Universitario che durante l’inverno si occupa principalmente di formare figure professionali legate al Costal Management e alla Marine Innovation (le ragioni, vista la suggestiva location, sono chiare), mentre d’estate si preoccupa di offrire a studenti di ogni parte del mondo corsi estivi di lingua e cultura islandese. È importante sottolineare questo binomio, perché l’offerta del corso va oltre le ore mattutine di lingua, che tuttavia sono un’ottima palestra per affrontare le situazioni quotidiane con facilità. Nel pomeriggio vengono offerti, durante tutto il periodo, interessanti attività di approfondimento culturale: shopping rally in giro per la città, le fiabe islandesi, come orientarsi, corso di slang, come insultarsi, riscoprire le antiche rímur, migliorare il vocabolario, imparare recitando, combattimento vichingo, persino lettura dei necrologi e altro ancora, per non parlare di una gita molto divertente nei luoghi di un’antica saga, una serata al festival teatrale di Suðureyri, la proiezione serale di film islandesi sottotitolati a cadenza regolare e una squisita cena finale, con tanto di attestato. Alla fine del corso va sostenuto un piccolo esame, niente che possa mettere in difficoltà i regolari frequentatori del corso, e il risultato viene allegato all’attestato di partecipazione.

Rischio di ripetermi, ma l’ambiente dell’Háskólasetur è quanto di più accogliente e familiare si possa immaginare. I professori si sono dimostrati sempre disponibili e cordiali, così come gli impiegati della segreteria e lo stesso direttore del Centro. Sono rimasto in contatto con quasi tutti loro, attraverso Facebook ed e-mail. Lo spazio del Centro è molto moderno, dotato anche di una cucina in cui ognuno è libero di depositare il proprio cibo, utilizzare utensili – a patto di lavarli – e consumare caffè.  Inutile dire che la situazione ha favorito, nel giro di una sera, la socializzazione e la formazione di legami con tanti coetanei – e non solo – di tante nazionalità diverse. Con queste persone si frequentavano le attività, si usciva la sera, si organizzavano gite nel tempo libero, soprattutto nel fine settimana, si frequentava il centro sociale, bar e ristorante Edinborgarhúsið: qui consiglio, a chi non ha particolari restrizioni ideologiche, di assaggiare la balena, squisita!

 L’esplorazione: guardare l’Islanda negli occhi

 L’esplorazione dell’Islanda è partita con il mio iniziale soggiorno a Reykjavík. Prima di spostarmi per il corso nei fiordi nord-occidentali, sono stato catapultato in un centro culturale molto attivo: fermento artistico, musicale, musei (uno dei principali passatempi islandesi), autentici gioielli di street art, prodotti di artigianato (mi riferisco per esempio ai famosi maglioni islandesi fatti a mano). La città, nonostante le modeste dimensioni, offre una grande quantità di spunti e suggestioni.

L’esplorazione è proseguita con la partecipazione alle gite organizzate dall’Háskólasetur e con la scelta, da parte mia e dei miei compagni di corso, di un paio fra le moltissime escursioni offerte dal Centro Informazioni Turistiche di Ísafjörður. I due fine settimana passati nei fiordi mi hanno permesso di esplorare l’isola di Vigur e altre zone, per scoprire una delle aree più suggestive e antiche d’Islanda, a tratti incantevole e a tratti desolata: un luogo di pellegrinaggio obbligatorio per gli animi romantici.

Per guardare davvero in faccia l’Islanda mi è stato infine indispensabile organizzare un piccolo viaggio in automobile, al termine del corso, con un paio di amici arrivati direttamente dall’Italia per l’occasione.

Una piccola parentesi sui prezzi. Vivere e viaggiare in Islanda è indubbiamente dispendioso. Ho trovato il costo di ostelli e pensioni il più alto rispetto alle aspettative. Anche bar e supermercati non sono da meno, tuttavia con una buona organizzazione e qualche rinuncia penso sia possibile cavarsela molto bene. Noi giovani poi ci accontentiamo molto spesso dell’essenziale alla sopravvivenza, infatti consiglio di non partire senza sacco a pelo. Sconsiglio gli autobus, abbiamo provato a usarli per gli spostamenti iniziali, prima di noleggiare l’automobile, e ci hanno dissanguato!

Noi abbiamo avuto la straordinaria opportunità, grazie anche ai risparmi accumulati prima di partire, di esplorare la penisola dello Snæfellsnes e tutto il Sud dell’isola, passando per il famoso Circolo d’Oro, la serie di tappe obbligatorie per ogni turista alla prima visita in Islanda.

La prima cosa che dicono in autobus, all’arrivo ad Arnarstapi, è che la penisola di Snæfellsnes è magica. È una vecchia credenza popolare, ma come tutte le credenze popolari deve avere qualche fondo di verità. La magia di quei luoghi mi ha permesso infatti di collezionare alcuni dei miei ricordi più belli e di iniziare a percepire per la prima volta un fortissimo senso di libertà. L’Islanda è capace, con la propria forza dirompente, di far sentire le persone dei piccoli e fragili puntini nell’universo, ma allo stesso tempo sa regalare sensazioni di libertà e di meraviglia che posso associare soltanto a quelle remote dell’infanzia. Anche percorrendo il Sud, attraverso le grandi cascate, le distese infinite di roccia lavica, nel suono dei fiumi, nei tramonti, sulla spiaggia profondamente nera di Vík, dove noi abbiamo avuto anche la fortuna di ammirare l’incredibile e commovente danza dell’Aurora Boreale, non si perde mai lo stupore della prima volta, l’indecifrabile emozione della scoperta, come se prima di quegli spettacoli naturali non ci fosse stato mai nulla da guardare.

Centinaia sarebbero i luoghi da consigliare, per una visita, per un boccone, per una fotografia, per un pernottamento speciale, tuttavia l’unica cosa che mi sento di consigliare è di partire per l’Islanda con la voglia di imparare, l’animo libero, sinceramente curioso, disposto ad assorbire tutto ciò che quest’isola ha da dare, dal punto di vista umano, culturale e naturale: è più di quanto possa sembrare in superficie. Sono convinto che dall’Islanda non si torni mai gli stessi di prima.

 Michael Micci, 23 anni, studente laureato presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere Moderne dell’Università di Bologna, attualmente frequentante il corso di laurea magistrale di Letterature Moderne, Comparate, Postcoloniali, sempre presso l’Università di Bologna.

http://www.linguenordiche.it/storia-cultura/approfondimenti/la-mia-islanda,-fra-incanto-e-cultura.html

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