La lingua ebraica antica e moderna

La lingua ebraica antica e moderna

L’ebraico, la lingua delle sacre scritture, era morta da secoli come lingua parlata (già ai tempi di Gesù, ad esempio, la lingua parlata comunemente era l’aramaico - lingua comunque correlata all’ebraico -, un dialetto del quale tuttora sopravvive in alcuni villaggi del nord della Siria). Per tutti i secoli della diaspora, l’ebraico classico rimase come lingua sacra, sia nella sua variante antico-testamentaria che nella variante più tarda, usata prevalentemente a fini esegetici, detta mishnaica. Quest’ultima variante accettava in sé un discreto numero di aramaismi ed ebbe la sua codificazione definitiva con la fase del cosiddetto «illuminismo ebraico». Essa fu così adottata dalla letteratura talmudica, midrashica e genericamente «liturgica» al posto del più poetico, ma lessicalmente più limitato ebraico biblico. Si può quindi parlare, per questa fase, di «ebraico pre-moderno», ma ancora non si trattava di una lingua parlata, seppure fosse pienamente ed estesamente usata a fini scritti.
Nei vari paesi dove vivevano comunità israelite più o meno estese, si andarono formando diverse lingue d’uso, perlopiù basate sulle lingue o sui dialetti locali ma con un congruo numero di termini - non solo legati strettamente alla religione - di derivazione ebraica. Alcune di queste lingue hanno una storia lunghissima, come lo yiddish (che, dal punto di vista linguistico, è la continuazione di dialetti medio alto tedeschi), il cosiddetto «ladino» o «giudeo-spagnolo», parlato dai sefarditi iberici che nel 1492 furono cacciati dalla Regina Isabella e si stabilirono nell’area balcanica (prevalentemente in Bulgaria; il grande scrittore e premio Nobel Elias Canetti aveva ad esempio il «ladino» come lingua madre), una forma di spagnolo arcaico, ed anche vari dialetti «giudeo-italiani» o «italkiani» (Italkit è il nome della lingua italiana anche in ebraico moderno). In un dialetto giudeo-italiano genericamente «centrale» è ad esempio scritto uno dei monumenti letterari più antichi in un dialetto italiano: l’Elegia giudeo-italiana. Da livornese ti posso dire che fino a tempi recentissimi, nella mia città, nella quale vive tuttora una cospicua comunità ebraica, si era formato un dialetto «giudeo-livornese» (detto bagitto), tuttora forse conosciuto da alcuni anziani. Tutte queste lingue e dialetti avevano in comune la caratteristica di essere scritti con l’alfabeto ebraico; il quale, come è noto, nella sua forma classica e moderna nota solo raramente le vocali, per mezzo di una serie di punti collocati sotto le consonanti. Lo yiddish e le altre lingue «ebraico-europee», invece, hanno sviluppato un sistema completo dando ad alcune combinazioni di consonanti ed anche ad alcune consonanti valore pienamente vocalico (in yiddish, ad esempio, la ’ain ha valore die).

La rinascita della lingua ebraica vera e propria come lingua parlata ha, si può dire, un nome ed un cognome: quello del lituano Eliezer Ben Yehuda (la cui lingua materna era ovviamente lo yiddish orientale). Costui, al trasferirsi in Palestina circa nel 1880, all’epoca dei primi insediamenti ebraici nella Terra Promessa a seguito del movimento Sionista, impose a se stesso ed alla sua famiglia l’uso attivo dell’ebraico pre-moderno (ovvero della variante mishnaico-talmudica), con uno zelo che, se da molti fu ritenuto eccessivo, d’altro canto riuscì veramente nell’intento quando il suo esempio fu cominciato a seguire da altre famiglie e, via via, da un numero crescente di persone. Beh Yehuda si trovò davanti un compito quasi improbo: quello di adattare una lingua sì usata, ma solo per certi fini, alla vita moderna. Sulla base delle radici già esistenti (l’ebraico, essendo una lingua semitica, è strutturalmente basato su radici trilittere [di tre consonanti] o, più raramente, quadrilittere, le cui funzioni variano a seconda dell’elemento vocalico tra di esse inserito - e perlopiù non notato dalla grafia!) Ben Yehuda si mise all’opera per comporre il suo Thesaurus della lingua ebraica moderna, creando di sana pianta tutta la terminologia moderna in uso a quell’epoca. Tuttora il Thesaurus di Ben Yehuda rappresenta la «base» della lingua ebraica, anche se, ovviamente, è stato ampliato con tutta una serie di termini rispondenti al progresso tecnologico, scientifico ecc. Così, ad esempio, il computer sul quale tutti noi scriviamo è in ebraico Makhshev, dalla radice k-sh-v («contare») che si ritrova nel verbo khashav («egli ha contato»; presente khoshev «egli conta»), e così via. L’ebraico moderno accoglie comunque tutta una grossa serie di prestiti internazionali (telefon, muzika, katalog; però i verbi che ne derivano vengono trattati come verbi ebraici quadrilitteri originali: «telefonare» è letalpen [infinito], «catalogare» è lekatleg[infinito] ecc.), yiddish (come il suffisso agentivo -nik, in ultima analisi di origine slava, che si ritrova ad esempio in kibbutznik «membro di un kibbutz»), inglesi, francesi, arabi ecc.
L’ebraico moderno è adesso, e dal 1948, la lingua ufficiale dello Stato di Israele e rappresenta uno dei fattori decisivi per la coesione di uno stato formato da cittadini provenienti da oltre 20 paesi diversi. Si tratta, credo, dell’unico caso esistente di una lingua non più parlata tornata alla vita attiva dopo qualcosa come 20 secoli.

A titolo di curiosità: un gruppo di ebrei ultraortodossi che vivono in un quartiere di Gerusalemme hanno sempre contestato l’uso attivo dell’ebraico, sostenendo che si tratta di uno svilimento della lingua sacra. Tuttora essi usano lo yiddish come lingua parlata.

Beh, a questo punto spero di essere stato esauriente (per quanto lo possa permettere un post)...e non posso che salutarti con uno

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