Come imparare le lingue straniere
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Imparare una lingua straniera è un’esperienza bellissima. Tuttavia è un’esperienza tutt’altro che scontata e che presenta delle difficoltà. Mi chiedevo infatti il perché di tali difficoltà, in fondo da bambini si impara a parlare la propria lingua velocemente:forse perché il cervello di un bambino è estremamente reattivo sotto questo aspetto? Si e No, sarebbe la risposta corretta. E mi chiedevo anche il perché del “fallimento” sul piano del risultato, di certi percorsi di studio attraverso audio/video corsi, molti di essi anche ben fatti, nonché del risultato deludente di certi percorsi di studio più classici. Anni fa sono stato in Tunisia e, con sorpresa, vedevo questi mercanti con le loro bancarelle di oggetti vari che, a prescindere dal loro grado di istruzione e a seconda della nazionalità del turista di fronte, contrattavano spaziando anche con una certa disinvoltura tra l’italiano, il tedesco, l’inglese, il francese, lo spagnolo: la cosa non mi tornava.
Così, ho cercato di capire, ho fatto delle ricerche, letto alcuni libri e ho scoperto intanto, che qui in gioco c’è un concetto molto importante: la Persona che Apprende, con il suo hardware (cervello) e il suo software (mente) in dotazione. I tratti legati alla personalità: cooperazione/competizione, introversione/estroversione, ottimismo/pessimismo; i fattori legati al meccanismo di acquisizione linguistica: osservazione dell’input ricevuto, ipotesi, riflessione, fissazione delle “regole”, memoria, filtro affettivo legato a: il piacere di apprendere o stress negativo da paura di non riuscire; il ruolo della motivazione basata su un modello circolare: ego – scelta strategia – tattica – conferma strategia. (per approfondimenti scientifici, gli autori di riferimento di questo post sono: Paolo E. Balboni, Pier Luigi Baldi, Alessia Cadamuro, Gabriella Pozzo, Luciano Mariani)
Tuttavia, vi è un errore di fondo nell’approccio allo studio delle lingue straniere che ho scoperto esserci e che spiega tante cose, anche quella cosa che non tornava circa i mercanti Tunisini. Tendenzialmente noi riteniamo che imparare una lingua straniera sia un processo legato all’Apprendimento, in realtà può sorprendere, ma con l’apprendimento ha poco a che fare, in quanto tale processo è legato sopratutto allaComunicazione: “imparare una lingua straniera” infatti è un termine improprio, noi non impariamo una lingua, impariamo un linguaggio, che è ben diverso. Il “fallimento” di certi percorsi di studio è dovuto proprio allo stato di assenza dell’aspetto in relazione con. L’esempio più lampante sono proprio questi audio e video corsi dove siamo noi e la macchina; macchina che non può interagire nella relazione se non entro i limiti di un programma pre-configurato. In questo caso, il “successo” di tale percorso di studio è in funzione di quei tratti della personalità di cui sopra, che devono risultare, in termini generali per semplificazione del discorso, “very strong” per compensare l’assenza di relazione.
Pertanto, imparare una lingua straniera non significa sapere le parole e le regole di grammatica, piuttosto, significa saper fare.
“Verdi idee incolori dormono furiosamente” ~Avram Noam Chomsky
questa espressione del noto linguista, pur essendo corretta e comprensibile, non ha alcun senso pragmatico, alcuno scopo, non serve a “fare” niente.
Ora, tirando un po’ le somme e venendo all’oggetto di questo post: un buon metodo è quello in grado di metterci in relazione: con noi stessi (io), con gli altri (io e te), con il mondo (io e il mondo); il tutto sulla base di scopi comunicativi ben definiti: generali (dialogo, lettera, istruzioni per l’uso etc.) e speciali riferiti ad atti (chiedere, ordinare, salutare, ringraziare, etc.). Tale metodo si articola in due fasi distinte: una di apprendimento, attraverso appunto corsi strutturati (scuola, università, centri di lingue, etc.) e/o, percorsi autonomi e, un’altra di di mantenimento della padronanza raggiunta.
Un’ultima considerazione. Vi è molto spesso una insufficiente valorizzazione di quella che è la funzione/scopo personale dello studio della lingua straniera, quella cioè legata all’io, al rapporto con se stessi: presentarsi, la provenienza, i propri interessi, il proprio stato fisico (benessere, malessere, stanchezza, etc.), i propri gusti, il proprio stato psichico (allegria, tristezza, delusione, etc.). Spesso appunto, i materiali didattici “snobbano” quest’aspetto a favore di una comunicazione “a dir loro” più pragmatica; questo aspetto invece, è fondamentale sul piano dell’affettività.
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